Dove sia la linea di confine tra sguardo e immaginazione nell’arte di Venanzio Manciocchi è difficile dire. Le sue opere in apparenza naturalistiche paiono testimoniare una dualistica e dinamica tensione espressiva che si connota di singolari e suggestivi equilibri tra il vedere e il sentire.


Giorgio Agnisola
 

La tesi, il dato di partenza, è sicuramente il paesaggio, non già uno qualsiasi, bensì quello Dell’Agro Pontino, con le rive sabbiose, le sue pianure strappate alla palude, la vegetazione di tipo palustre e, in lontananza, il misterioso ed affascinante profilo del promontorio del Circeo.

L’antitesi, l’elemento di lavoro, è, curiosamente, una capacità, o per meglio dire, una necessità di astrazione mentale, prima ancora che pittorica, che fa capo all’artista e lo porta a dissolvere e a polverizzare la visione retinica ed esteriore per sostituirla con quella spirituale ed interiore.

La sintesi, dunque, viene espressa dal sottile ed acuto equilibrio che si instaura tra queste due istanze - figura e astrazione - calmierate e sapientemente bilanciate dalla mano sensibile dell’artista.


Crocifissi, Tra Materia e Luce

Due sono gli approcci di Venanzio Manciocchi con i temi del sacro.
Il primo muove da riferimenti biblici ed evangelici, si lega in particolare al crocefisso, che l'artista declina in mille modi, evocandolo con una forte partecipazione psicologica e spirituale. Del Cristo senza vita l'artista punta a rappresentare non la fisicità del corpo, ma la sua dimensione immateriale e simbolica, aprendo sovente all'infinito della speranza colta nella trasparenza e nelle luci del transito resurrezionale.

Il secondo ha un carattere più intimistico, più visionario. L'artista interpreta come luce che irradia il divino e la sua presenza nel mondo.

Giorgio Agnisola